Tesi su Borgese
E’ straordinario constatare e ricevere le tesi su GA Borgese che da ogni Università italiana giungono alla Fondazione per arricchirne il proprio archivio bibliografico. In tal senso la Fondazione ha lanciato l’iniziativa di raccogliere e, per l’avvenire, sostenere con uno specifico contributo le tesi di laurea che saranno dedicate a Borgese riunendole, come di già avviene, in una apposita sezione.
Intanto, queste le tesi di laurea che siamo riusciti a recensire. Vale la pena citarle perché esse dimostrano di come continui a permanere nel tempo l’interesse culturale di tanti giovani verso la figura e l’opera di Borgese.
Il Caso Borgese di Massimo Onofri
Ma andiamo con ordine. Stando a quello che fu il clamoroso successo di Borgese nei primi decenni del secolo, a quelli che furono i suoi effettivi risultati critici e saggistici, dai primi articoli su D’Annunzio e Pascoli ai tre volumi de La vita e il libro (1910-13), ove aveva raccolto il meglio di sé come recensore sul “Corriere della Sera”, “Il Mattino” e “La Stampa”, non ci sembra avesse poi torto Giacomo Debenedetti quando, nel suo Romanzo del Novecento, si trovò a scrivere che il nostro autore, “fin da recluta, sembrò avere il bastone del maresciallo”. Persino Renato Serra e Luigi Russo che ebbero la responsabilità maggiore nella liquidazione del critico e del teorico della letteratura, dovettero constatare che la sua autorità, in quello scorcio di tempo, era stata indiscussa. Il primo, infatti, nel non eccessivamente animato capitolo dedicato allo stato della critica contemporanea delle sue fin troppo celebri Lettere (1913), in cui faceva spiccare il solo nome del giovane Giuseppe De Robertis, pur parlando del Borgese come di “un lettore grossolano”, di un uomo che “dà l’illusione di molti doni dell’arte e dell’intelligenza, e in fondo non ne possiede interamente nessuno”, era costretto ad ammettere che tra i critici coevi, “bene o male è il più noto, quello che possiede meglio il suo pubblico”. Mentre il secondo, nel gagliardo lavoro dedicato a La critica letteraria contemporanea, trattenendo a stento un’animosità ed avversione che non di rado, proprio nella parte dedicata al Borgese, tradisce ogni distaccata ed equanime sintesi storiografica, doveva riconoscere che la sua figura “dominò nelle menti in forma impressionante, nel campo del giornalismo e della cultura universitaria, nei primi quindici anni del secolo”. Del resto, Emilio Cecchi, il meno avverso a Borgese degli uomini de “La Ronda”, ma che certo non fu tenero con il romanzo Rubè, a fornire testimonianza di anni ormai lontani, così si esprimerà, non senza commozione, in una pagina dell’articolo in morte apparso sull'”Europeo” del 18 dicembre 1952, su cui vale la pena indugiare: “Ma chi non ebbe frequentato Borgese negli anni del Leonardo e dell’Hermes, della Storia della critica romantica (la sua tesi di laurea) e del saggio sul D’Annunzio, non ha idea del fascino della sua personalità nel fiore della giovinezza; fascino che allora lo stesso Croce non subì meno di noialtri compagni.